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L'OBIEZIONE NON E' PIÙ UNA VIRTÙ.
Nella mia mente di fallito sessantottino, è stato spontaneo l'accostamento allo slogan di don Milani "l'obbedienza non è più una virtù" frase che servì in quel periodo a destabilizzare il servizio di leva obbligatorio per i giovani italiani e a sostenere l'obiezione di coscienza contro il servizio militare. A quei tempi chi rifiutava di prestare il servizio militare rischiava di essere dichiarato disertore, allontanato dalla società e relegato in carcere.
"L'obbedienza non è più una virtù" ha una profonda radice nel cristianesimo, in quel cristianesimo radicale e direi vero che ti porta a dire "Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini" e a comportarti di conseguenza, ma la cui tesi precedente è la genesi della laicità: "Dare a Cesare ciò che è di Cesare e (ma) a Dio ciò che è di Dio". Sono principi, questi, che distinguono le due sfere (quella spirituale e quella politica) e le mettono nel giusto ordine: Obbedire prima e Dio e poi a Cesare.
Ebbene quello slogan che tanto modellò i giovani del '68, oggi dopo tanta evoluzione che ha portato l'uomo da essere considerato figlio di Dio (come si diceva nei catechismi delle stanze umide e stantie delle parrocchiette) ad animale da estinguere (come si pontifica nei salotti buoni televisivi), è stato abrogato. Oggi, l'obiezione non è più una virtù ma una deformazione mentale da combattere, una malattia da emarginare per farla estinguere. E che questa logica la esprima un sistema di governo che si crede illuminato e progressista, a favore delle classi deboli e delle persone fragili, ciò rende ancora più grave la situazione: segnale di una intransigenza dura, ideologica, senza se e senza ma, che avanza inesorabilmente. E sì, perché se sei un obiettore di coscienza e non obbedisci agli uomini che ti chiedono di uccidere una vita umana in boccio, allora devi restare fuori delle strutture pubbliche; se vuoi lavorare sei obbligato a sottostare agli ordini e a piegarti ai voleri del caporale o del cesare di turno. Questo è ciò che probabilmente è successo in questi mesi passati quando la regione Puglia ha escluso i ginecologi obiettori dalla possibilità di partecipare al concorso di assunzione nei consultori pubblici.
Ricorso di alcuni obiettori e di alcune organizzazioni pro vita.
Giudice: novello Pilato che lavò le sue mani (sporche) nell'acqua (era acqua pubblica ma non dell'AQP) e disse: "Non voglio saperne, fate voi" e fu la parte del più forte a dettar legge. Così il nostro ha affermato: "Fate al 50%, metà e metà, un po' e un po'. Un po' ciascuno non fa male a nessuno" facendo però il gioco del più forte. In questo modo, infatti, la toga nera ha sentenziato che nei consultori pubblici DEVONO stare operatori sanitari (sanitari? o necrofori?) che non si fanno questione. E si è voluto sancire solennemente che i consultori pubblici hanno il compito di spianare la strada per preparare la soluzione finale del problema: eliminare il fastidio dell'intruso. Alla faccia della 194!
Mi chiedo: questo è ciò che accade in realtà dalle nostre parti o che accade virtualmente nella mia mente di sessantottino fallito? Sarò anch'io uno di quelli che confonde realtà con immaginazione? Boh!
Ai posteri l'ardua sentenza.
mq